Prima di iniziare un pezzo come questo è necessaria qualche precisazione per chi lo leggerà senza preventivamente conoscermi. Sono antifascista, di quelli che si muovono attivamente al limite della “decenza del perbenismo” con le affermazioni contro il rigurgito di destra degli ultimi anni. Quindi sono fazioso, è inutile nasconderlo. E sono schierato politicamente in una area sincronica a quella che la Segre e la sua proposta occupano.
Mi sono impegnato a fondo sull’analisi ed il contrasto agli episodi di odio, con veemenza e mettendomi in prima linea sia con collaborazioni per la mappatura e la segnalazione dei contenuti online, sia per il coinvolgimento attivo con lo Youth Council raccontando strategie di depolarizzazione nella strategia al contrasto dell’anti-ziganesimo. Qunidi in perfetta linea con la “vision” e la “mission” che la commissione propone.
Non solamente questo: non sono nemmeno un oltranzista della libertà di qualunque espressione a qualunque costo, “tout-court”: non solo sono perfettamente d’accordo con la possibilità di uno Stato di prendere misure per il blocco dei contenuti illegali presenti sulla rete, ma sono addirittura stato parte attiva delle più importanti cause italiane (ed europee) per il Diritto d’Autore, che hanno portato all’oscuramento di molti siti di pirateria. Quindi mi ritrovo anche con la necessità di intervento, la possibilità dello stesso e riconosco che esistono mezzi tecnici per renderlo realizzabile.
Questo detto, però, non riesco a trovarmi in alcun modo né con la formulazione della Commissione Segre, né con i compiti e i poteri che dovrebbero esserle attribuite, e guardo con diffidenza sempre maggiore una iniziativa che, invece, vorrei amare.
Sono svariate le formulazioni ed i concetti che non mi trovano perfettamente allineato, ma credo che sia assolutamente normale con qualunque testo scritto di qualunque pensatore, pur tuttavia vi sono tre i punti del testo, per lo meno nell’unica estensione completa che ho trovato online, che mi fanno preoccupare e che non riescono a darmi tranquillità, e vorrei esaminarli singolarmente.
Il primo ha che fare con la leggerezza con cui vengono prese alcune assunzioni erroneamente sillogistiche nel testo, come nella seguente frase (enfasi aggiunte):
…ma incitamento è anche sostenere azioni come l’espulsione di un determinato gruppo di persone dal Paese o la distribuzione di materiale offensivo contro determinati gruppi…
Ecco, sostenere che l’incitamento all’odio passa anche semplicemente tramite il materiale offensivo credo che sia una deriva pericolosa che può benissimo passare in una articolo di giornale ma che non può in alcun modo essere esplicitata con questa formulazione in una mozione. In ambienti precisi e formali è necessario non dare nemmeno lontanamente adito al dubbio che si considererà qualunque forma di “offesa” alla stregua di “incitazione all’odio“.
Questo perché l’offesa è un animale pericoloso, e incredibilmente propenso a vivere non tanto in praterie e spazi liberi e sotto il controllo di chiunque, quanto nei piccoli anfratti dell’occhio di chi osserva. E proprio da quell’occhio qualunque cosa può essere vista come un insulto.
La stessa cronaca può essere letta come insulto, quando un titolo riporta una etnia e immediatamente scatta l’accusa da parte dei social justice warriors di turno di essere razzista per generalizzazione. Pensate ad un titolo “Hipster milanese tenta di rubare una bici a scatto fisso: arrestato”. Mi sembra di sentire già i cori: “Non tutti i milanesi sono cosi! Questo è incitamento all’odio dei milanesi!”. E l’interrogazione parlamentare per odio ai milanesi da parte del sindaco Sala.
Io ci scherzo, ma sostituite con frasi antisemite o antizigane e la cosa assume immediatamente una connotazione differente. E ciò è male. La coesistenza pacifica passa attraverso narrative depolarizzanti dell’opinione pubblica, non attraverso la manipolazione delle definizioni per punire l’opinione. E questo dovremmo averlo capito.
La seconda cosa che mi infastidisce è la stessa nomenclatura proposta della Commissione:
…delibera di istituire una Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza,
Con tutto il bene che voglio alla comunità semita, è necessario formularlo proprio nel nome? In che modo l’antisemitismo non rientra nell’intolleranza e nel razzismo, e ha quindi bisogno di una voce differente? E no, se state pensando alla Shoah allora dobbiamo mettere dentro anche l’anti-ziganesimo, parte – sfortunatamente – dello stesso eccidio, ma da sempre considerata con meno dignità e meno luce della ribalta.
Cosa ha in meno l’anti-ziganesimo, l’omofobia, la discriminazione contro i disabili (“hai la 104 o cosa?”) da essere considerati cittadini di serie B e problematiche di serie B della Commissione e della valutazione dei fenomeni?
Sono proprio formulazioni come queste ad allontanare invece che dividere, il preconcetto che alcuni fenomeni siano più importanti – e con maggiore dignità di “perseguibiltà” – di altri. Quella cosa che fa aggrottare le sopracciglia bollando una lodevole iniziativa con un bias di partenza, con una velata faziosità già espressa nel nome. Che sicuramente non aiuta nel rendere l’approccio al fenomeno bipartisan.
Quindi, di grazia: elenchiamoli tutti gli odi, o immaginiamo che in quanto tali stiano di diritto nella rappresentazione generale di “intolleranza, razzismo”, come gli spetta.
Ed infine il punto dolente:
la Commissione può segnalare agli organi di stampa ed ai gestori dei siti internet casi di fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza nei confronti di persone o gruppi sociali sulla base di alcune caratteristiche, quali l’etnia, la religione, la provenienza, l’orientamento sessuale, l’identità di genere o di altre particolari condizioni fisiche o psichiche, richiedendo la rimozione dal web dei relativi contenuti ovvero la loro deindicizzazione dai motori di ricerca”.
E qui proprio no. Senza appello, senza alcun tipo di requie, solo un solido, secco, no.
Lo stesso no che detti, ai tempi, per il potere alla AAMMS per l’oscuramento dei domini del Gioco di Azzardo, e lo stesso parere sfavorevole che detti quando si parlò dello stesso potere ad AgCom, poi divenuti entrambi “legge dello stato” e a cui mi sono uniformato da bravo cittadino.
No perché è un giudice a dover stabilire la liceità o meno dei comportamenti. No perché esiste un iter specifico e preciso, in contraddittorio, prima di silenziare d’ufficio – e spesso in totale opacità dei modi e dei contenuti – una qualunque voce ed opinione, per quanto esecrabile.
No perché la libertà è sempre e comunque un valore, che supera – per certi versi – anche l’odio espresso. E perché un organo non soggetto alle tutele di legge verso le parti coinvolte non può ergersi in alcun modo ad essere, contemporaneamente:
- Creatore delle definizioni di odio;
- Creatore delle liste di contenuti per quella definizione di odio;
- Ente attuatore delle rimozioni di tali contenuti;
- …non prevedendo ab-origine un contraddittorio.
Questo dobbiamo scrivercelo a caratteri cubitali nella mente e nelle dichiarazioni. Dobbiamo batterci perché sia adamantino e immutabile, e perché ciascuna delle fasi di cui sopra sono assolutamente necessarie e meritorie, ma mai e poi mai incarnati in un unico organo.
Quindi ben venga la commissione, benvenute le iniziative per la rimozione dei contenuti, urrà per il controllo, le ricerche e anche per la redazione delle liste. Che siano poi, però, soggette ad un contraddittorio che – prima della rimozione o oscuramento – dia pieni diritti costituzionalmente riconosciuti alle parti in gioco.
Perché siamo meglio degli odiatori, dei negazionisti e degli intolleranti. E dobbiamo dimostrarlo – questa volta – sul campo.