
Nel giornalismo dell’era digitale, la verità oggettiva è sempre più elusiva. Che si tratti di valutare con dati certi il bilancio delle vittime civili a Gaza, determinare chi stia prevalendo nel conflitto russo-ucraino o prevedere il futuro dell’industria navale europea, giornalisti e pubblico si trovano di fronte a una nebbia di narrazioni contrastanti. La capacità di influenzare l’opinione pubblica attraverso la narrazione non è certo un fenomeno nuovo. Ma nell’era digitale, caratterizzata da una sovrabbondanza di informazioni e da meccanismi di diffusione virale, questa pratica ha assunto dimensioni e complessità senza precedenti. È in questo contesto che emerge il concetto di narrative supremacy – la supremazia narrativa – come elemento cruciale non solo nelle guerre di rete, ma anche nelle strategie di comunicazione aziendale e nelle dinamiche di potere su scala globale.
È in questo contesto che emerge il concetto di narrative supremacy
La narrative supremacy trae la sua forza e la sua presa sul pubblico dal contesto in cui essa si sviluppa. L’accesso all’informazione è più ampio che mai ma, per paradosso, la capacità di discernere la verità sembra diminuire. Questo fenomeno è stato ampiamente studiato da sociologi e teorici della comunicazione e oggi viene ricompreso dal termine infodemia. Il sociologo Zygmunt Bauman, nel suo concetto di modernità liquida, ha descritto un mondo in cui le strutture sociali e le istituzioni che tradizionalmente fornivano punti di riferimento stabili si stanno dissolvendo, lasciando gli individui in uno stato di incertezza permanente. In questo contesto, le tecniche connesse alla narrazione assumono un ruolo ancora più centrale nel dare senso alla realtà.
Parallelamente, il filosofo Jean Baudrillard ha teorizzato il concetto di iperrealtà, un mondo in cui la distinzione tra realtà e simulazione si è offuscata al punto che la simulazione può diventare più reale della realtà stessa. Questa teoria trova particolare risonanza nell’era dei social media e della realtà aumentata, dove le narrazioni costruite possono facilmente soppiantare l’esperienza diretta. Nel campo delle relazioni internazionali, Joseph Nye ha coniato il termine soft power per descrivere la capacità di un Paese di influenzare il comportamento di altri attraverso l’attrazione e la persuasione, piuttosto che con la forza coercitiva. La narrative supremacy può essere vista come un’evoluzione di questo concetto, adattata all’era dell’informazione digitale.
La nuova narrativa
Questo approccio va oltre la semplice creazione di contenuti persuasivi. Si tratta di un metodo olistico: integra analisi dei dati, psicologia comportamentale, tecnologia dell’informazione e strategie di comunicazione per creare e mantenere una posizione dominante nel panorama informativo. Un suo elemento chiave è l’uso dell’intelligenza artificiale (IA) non solo per generare contenuti, ma per personalizzarli e distribuirli con una precisione e una velocità impensabili fino a pochi anni fa. L’IA permette di analizzare vasti insiemi di dati per identificare tendenze e preferenze del pubblico, creando poi contenuti su misura per specifici segmenti di audience. Un altro aspetto cruciale della narrative supremacy è la creazione e il mantenimento di una rete di canali di distribuzione e amplificazione. Questo include non solo piattaforme di social media e siti web, ma anche una costellazione di influencer, opinion leader e micro-influencer che possono rapidamente diffondere e legittimare una particolare narrazione, come successo nelle recenti elezioni presidenziali in Romania. La velocità è essenziale in questo contesto: chi riesce a stabilire la narrazione dominante nelle prime ore o giorni di un evento, spesso mantiene il vantaggio nel lungo periodo.
La narrative supremacy si basa anche sulla comprensione della psicologia umana e delle dinamiche sociali. Le teorie del framing cognitivo (che porta il nostro cervello a valutare, giudicare o interpretare le informazioni in base al contesto in cui sono fornite), sviluppate da psicologi come Daniel Kahneman e Amos Tversky, vengono applicate per presentare le informazioni in modi che influenzano sottilmente ma potentemente la percezione del pubblico. Allo stesso modo, la teoria della dissonanza cognitiva di Leon Festinger (che descrive la situazione in cui credenze, nozioni, opinioni esplicitate contemporaneamente nel soggetto in relazione a un tema si trovano in contrasto tra loro) viene sfruttata per creare narrazioni che si allineano con le credenze preesistenti del pubblico, rendendole più facili da accettare e più resistenti alle contro-narrazioni.
Le prospettive corporate ed etiche
L’emergere della narrative supremacy come strategia dominante ha profonde implicazioni per organizzazioni di ogni tipo, dalle multinazionali alle istituzioni governative. Nel contesto della post verità, dove la percezione può rapidamente diventare realtà, la capacità di plasmare la narrazione non è più un lusso, ma una necessità strategica. Per le aziende, questo significa ripensare completamente l’approccio alla comunicazione corporate. Non si tratta più di reagire alle crisi o di gestire la propria reputazione, ma di costruire proattivamente un ecosistema narrativo che supporti gli obiettivi strategici dell’organizzazione. Questo richiede un’integrazione molto più stretta tra i dipartimenti di comunicazione, marketing, ricerca e sviluppo e persino risorse umane. Le aziende dovranno investire significativamente in tecnologie di analisi dei dati e intelligenza artificiale non solo per generare contenuti, ma per monitorare costantemente il panorama informativo e identificare minacce e opportunità narrative con tempismo.
Inoltre, le organizzazioni dovranno ripensare le loro relazioni con i media e gli influencer. Invece di affidarsi a relazioni ad hoc, sarà necessario costruire e mantenere reti di alleati narrativi che possano essere rapidamente mobilitati quando necessario. Questo potrebbe includere partnership non convenzionali con creatori di contenuti, artisti e persino piattaforme di gaming e realtà virtuale.
Dal punto di vista etico, l’ascesa della narrative supremacy solleva questioni complesse. C’è una linea sottile che divide narrazione strategica e manipolazione, e le organizzazioni dovranno navigare attentamente queste acque per mantenere la fiducia del pubblico. Saranno necessari nuovi principi etici che guidino l’uso responsabile dei dati e, forse, anche nuove regolamentazioni per garantire che il potere della narrazione non venga abusato. Chi riuscirà a padroneggiare quest’arte sarà in grado di plasmare non solo le percezioni, ma la realtà stessa del mondo in cui operiamo. Dove incertezza e cambiamento dettano tempi sempre più frenetici, la capacità di controllare la narrazione potrebbe rivelarsi la competenza più preziosa di tutte
(originariamente apparso su Primsmag)