Il problema è il costo del lavoro (checché ne dica Gilioli)

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Mi trovo stamane un po’ stranito nel leggere la “analisi” dei dati sul costo del lavoro fatta da [Alessandro Gilioli][1] all’interno del [suo Blog][1]: a meno che non sia un *(pessimo)* stunt di buonismo mi risulta difficile che una persona della levatura intellettuale di Alessandro faccia uscite così poco legate alla verità ed alla realtà.

Il problema è legato al [rapporto ISTAT][2] che, secondo [Alessandro][1] ci posiziona in una condizione “privilegiata” come costo del lavoro rispetto ad altri paesi d’Europa (come ad esempio Germania, Francia, Scandinavia tutta ed Irlanda) arrivando a proferire la massima economica che qui sotto riporto (enfasi mie):

> Si tratta, quindi, di una balla. Una balla in base alla quale in Italia vengono progressivamente ridotte le retribuzioni e diminuiti i diritti. Non abbiamo il costo del lavoro più alto rispetto agli altri Paesi euro, anzi lo abbiamo più basso.
> **Se gli investitori stranieri non arrivano quindi forse occorre cercare altre ragioni**. ([qui][1])

Mi spiace, ma **è falso**: leggere i numeri come solamente numeri può fare perdere di vista la realtà, come in questo caso. Paragonare infatti il costo del lavoro alle “medie europee” per banalizzare una sentenza come *”Se gli investitori stranieri non arrivano quindi forse occorre cercare altre ragioni”* significa stravolgere totalmente le dinamiche della realtà: le aziende non spostano gli stabilimenti in Francia, Germania, Irlanda, Austria Finlandia (e tutte le nazioni con wage-cost sopra i 15€/ora) ma le [spostano in Polonia][3], Ungheria, Lituania, Estonia, paesi con un wage cost al di sotto dei 15€ e, quindi, alla metà di quelli italiani. Nessuna azienda manifatturiera sceglie la Francia contro l’Italia o la Germania contro l’Italia, ma sceglie la Polonia contro l’Italia per gli stabilimenti, o l’Ungheria contro l’Italia. Lo fa perchè ha un wage-cost di circa la metà, e non si tratta di un problema da poco.

E se ci si sposta in altri ordinamenti, come in Inghilterra e Irlanda, lo si fa con la Holding di controllo non già strizzando l’occhio al wage-cost, ma semmai andando ad analizzare le opportunità (e a utilizzarle appieno) legate ad una **minore pressione fiscale** sugli utili, altro problema cardine, quello dalla **tassazione degli utili** che contribuisce in modo deciso se non già ad allontanare gli investitori dall’Italia *(anche se ne sono convinto)* quanto a fare prediligere giurisdizioni che meglio salvaguardino questo fattore di quanto fa l’Italia.

Quindi, ricapitolando, no, Alessandro, *”Se gli investitori stranieri non arrivano”* non è sicuramente **solo per il wage-cost**, ma fidati, il fatto che in metà dell’Europa sia la metà di quello italiano non è una truffa ai danni dei cittadini sulla base di non so quale complottismo veteromassonico legato alle *”mazzette che devono pagare ai politici”* e nemmeno parte di una congiura globale legata ad *”Una balla in base alla quale in Italia vengono progressivamente ridotte le retribuzioni e diminuiti i diritti”*, ma semplicemente il fatto che in metà dell’Europa **il lavoro costa la metà di quanto costa da noi** e che, stranamente, **proprio in questa metà si spostano gli investitori**.

E non lo dico io, lo [dicono i numeri][2]. Se vogliamo competere nel manifatturiero dobbiamo fare i conti con questa realtà e non gridare al mondo cattivo che ce l’ha contro di noi.
Possiamo anche [puntare su fattori diversi dal wage-cost][4], ma comunque sia non possiamo mettere la testa sotto la sabbia e incolpare presunti complotti planetari per la realtà, ma confrontarci con essa e comprenderla.

Estote parati.

[1]: http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/12/23/il-problema-e-il-costo-del-lavoro/
[2]: http://www.istat.it/it/archivio/143789
[3]: http://www.europaquotidiano.it/2014/01/29/in-polonia-in-polonia-chi-ci-va-a-produrre-e-perche/
[4]: http://www.rassegna.it/articoli/2014/12/2/116958/modena-cgil-a-confindustria-puntare-su-crescita-innovazione-e-lavoro-di-qualita

l'autore

Matteo Flora

Mi chiamo Matteo Flora, sono imprenditore seriale, docente universitario e keynote panelist e divulgatore. Mi occupo di cambiare i comportamenti delle persone usando i dati.
Puoi trovare informazioni su di me ed i miei contatti sul mio sito personale, compresi i link a tutti i social, mentre qui mi limito a raccogliere da oltre quattro lustri i miei pensieri sparsi.
Buona lettura.

4 commenti

  • Il fatto che l’Italia è la prima per corruzione in Europa (secondo la classifica 2014 di Transparency International, che riporta le valutazioni degli osservatori internazionali sul livello di corruzione di 175 paesi del mondo) credo incida più del costo del lavoro nell’allontanare gli investitori stranieri. Se fosse solo un problema di costo del lavoro, gli operai della Volkswagen in Germania non sarebbero pagati 2600€ al mese, ma farebbero come Marchionne delocalizzado in paesi come Polonia o Albania.
    Inoltre qua in Italia una causa o un procedimento giudiziario (anche per motivi di lavoro) può andare avanti per 20 anni: chi è quell’imprenditore sconsiderato che preferisce l’Italia ad altri Paesi?

    Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/12/03/transparency-2014-italia-prima-in-europa-per-corruzione-sorpassate-bulgaria-grecia/1246545/

  • Una ricerca negli anni 90′ sulla crescita dei paesi industrializzati, non d’Europa ma di tutto il mondo ci poneva al 180° posto. Non è colpa dell’euro ne dell Unione, sono i mali ancestrali dell’ Italia.:

    Ahi serva Italia, di dolore ostello,
    nave sanza nocchiere in gran tempesta,
    non donna di provincie, ma bordello!
    6° canto Purgatorio

    L’entrata nell’Unione e nell’euro poteva essere un buon motivo per adeguarci ma abbiamo continuato per la solita via.
    I mali sono molti: burocrazia, giustizia lenta, costo dell’energia (non parlatemi delle centrali nucleari che non ci sono, il costo è elevato perchè paghiamo le tasse sulle tasse altrimenti sarebbe in media europea) e per finire c’è anche il costo del lavoro rispetto lo stipendio percepito.
    Abbiamo anche il “sottobosco” più grande d’Europa ed è per questo che non si riesce a fare un reale cambiamento: più è difficile l’attività lecita, più il “sottobosco” sguazza.
    Ci sono maggiori interessi a rimanere cosi.
    Però, ammesso che non vogliamo fare una rivoluzione, potremmo semplicemente lasciare la politica industriale.
    Il settore agro-alimentare italiano ha avuto un picco mondiale, perché non cavalcarlo?
    Abbiamo ancora i più bei monti e mari, le città più originali e affascinanti … una politica turistica no?
    Il patrimonio culturale italiano è il più elevato al mondo, contiene la maggior parte della cultura mondiale.
    …… e trasformare la nostra cultura da peso sociale a business?
    …. e l’artigianato italiano ?

    D.M.

  • si,gli investitori esteri preferiscono andare dove i lavori sono sottopagati…che facciamo?sottopaghiamo anche qui?

    @fabio,l’articolo del fatto quotidiano in cui travaglio esulta per il fatto che finalmente siamo primi nella classifica della corruzione è fuffa. Se avessi letto meglio avresti capito che quella classifica ,fatta da tedeschi, si basa sulla corruzione percepita dai cittadini italiani. Percepita!!!! questo vuol dire che dipende dalla spazzatura che vomitano ogni giorno i telegiornali e i giornali…..travaglio ,che non è affatto scemo,non poteva non sapere questo dettaglio ma ha preferito comunque far finta di niente…

  • si, ma se non ti convincono che gli investitori stranieri arrivano solo se si permette il licenziamento libero e la flessibilità selvaggia, poi come facciamo a delocalizzare un altro 25% di produzione industriale in Transnistria nei prossimi 10 anni come fatto in questi ultimi 10 anni?
    Tanto chi se ne frega se senza classe media non esiste commercio e se tutti acquistano su amazon, non esisterà nemmeno più il commercio come avvenuto negli USA

    inequalityforall un ottimo documentario

Matteo Flora

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